(recensione) Future Islands e Fear Of Men - 15/10/2014 @ Circolo degli Artisti - Roma

(recensione) Future Islands e Fear Of Men - 15/10/2014 @ Circolo degli Artisti - Roma

Andare ad un concerto assume sempre la forma di un ritorno a casa per me, un posto raccolto che fonde teste e cuori davanti ad un solo palco. Fuori dalle porte del Circolo degli Artisti, il 15 Ottobre, l'università-il traffico di Roma-il lavoro; dentro i Future Islands.

Il pubblico è nutrito sin dall'Opening Act dei britannici Fear of Men, band formatasi nel 2011 sotto il tiepido sole di Brighton. Un connubio artistico fra Jessica Weiss (già voce e tastiera dei The Pains of Being Pure at Heart) e Daniel Falvey, che ha poi coinvolto Michael Miles alla batteria e la bionda Becky Wilkie al basso. I Fear of Men, freschi di pubblicazione ad Aprile per la Kanine Records del loro album di debutto Loom, acclamato dai vertici musicali (uber alles la webzine statunitense Pitchfork), incarnano l'indie pop più dolce e melodico, a tratti twee, mostrandosi notevoli nell'esecuzione tecnica dei pezzi e graziosamente emozionati nel ringraziare i presenti ad ogni pausa. La voce della Weiss è inconfondibile, ma rispetto al suo lavoro con i The Pains, di cui i Fear of Men continuano ad essere band d'apertura, è più presente e marcata, decisa leader e chitarrista del nuovo gruppo. Dopo quaranta minuti, si congedano con un ultimo brano più grezzo, ruvido e urlato, aggiungendo ad un quadro a tinte pastello à la Wes Anderson qualche nota graffiata. Bravissimi. 

Baltimora domina la serata capitolina come terra d'origine tanto dei Future Islands, quanto dei Celebration. A differenza dei Fear of Men che loro lasciano il posto sul palco, il quintetto sfoggia un repertorio di psichedelico rock'n'soul presentando l'ultimo lavoro Albumin: un disco che spazia dalle radici, dalla tradizione del Southern Rock, al funk anni Settanta più accattivante. Molto interessante anche questa esibizione, di minore durata, ma di pari carattere. Il pubblico freme, la sala è stracolma, tutti sono pronti. 

L'atmosfera creata dall'arrivo dei Future Islands è quasi difficile da rendere a parole: è calore e incanto assieme, magnetismo puro. Il trio ha esordito con la pubblicazione del primo album Wave like Home nel 2008 ed è già punto di riferimento nel panorama synth-pop, a tratti tendente alla new wave più pura. Molti dei brani eseguiti sono estratti dall'ultimo disco Singles, agrodolce nella sua malinconia oscura e contemporaneamente intriso di speranza, prodotto da Chris Coady. Luci blu e azzurre che trascinano in un sogno: Samuel T. Herring sprigiona una voce roca e blues impressionante, dal fascino straordinario e di enorme potenza. E' un artista magnifico, trascinatore di folle e di impatto scenico fortissimo. Balla, si contorce, interagisce con le prime file; si muove sinuoso come l'iguana Iggy Pop. 

La band esegue diciassette brani senza perdere per un attimo di vigore, introducendoli a volte con piccole spiegazioni. La commovente e quasi liturgica “A Song for our Grandfathers”, “Doves” o “Spirit”, sono magistrali. Il pezzo che ha portato a maggiore visibilità il gruppo, “Seasons (Waiting on You)”, è anticipato da Herring come una canzone d'amore di due persone che si attendono e si incrociano, si avvolgono come abbracci. Ogni nota e ogni frase è scandita con passione viscerale, assoluto dominio del palco e intensità. Anche gli altri due membri della band, Cashion al basso e Welmers alle tastiere, si distinguono, non facendo unicamente da sfondo all'istrionico leader e cantante. E' una narrazione di una storia sofferta, condivisa con chi è lì per ascoltarla. I Future Islands riportano alla mente i New Order ed il buio tenebroso che copre un dolore, dal cui fondo scavando si estirpa la forza di risalire. 

In chiusura, tre altre canzoni invece che, come da copione concertistico, due: “Beach Foam”, “Little Dreamer” e “Vireo's Eye”, che scatenano il furore collettivo. Herring simula un attacco cardiaco verosimile in modo quasi spaventoso, aggrappandosi al lembo della propria camicia e accasciandosi a terra. E' un trionfo. Merita ogni lode quest'uomo, ogni aggettivo superlativo che si possa accostare ad un tale mastodontico artista.
Si va via dal Circolo a malincuore, o forse lasciandolo lì un frammento di cuore. Quando una band è in grado di entrare nelle tue viscere e sconvolgerle, non occorrono commenti. Si doveva essere sotto il palco con essa, ad assistere ad uno spettacolo che diventa una cicatrice indelebile. 

Laura Caprino 

La fotogallery della serata la trovate qui. 

Foto di copertina di Amel Tinti. 

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