Nightguide intervista i The Kalweit Project

Nightguide intervista i The Kalweit Project


A vete mai pensato di scrivere un pezzo su due biciclette che sembrano avere vita propria? Il primo singolo dei Kalweit Project, Swill bikes, è proprio questo, ed è anche il nome del disco uscito il 5 Aprile. Non solo biciclette, comunque, ma nuove tecnologie, social, esperimenti sonori e un tour già in corso. Abbiamo parlato di tutto questo con la band.





Avete scritto un disco su due biciclette (e Swiss bikes è anche il primo singolo) e la cosa è già di per sé singolare: quanto significato nascondono queste due bici?
Questo brano, così come l'intero lavoro, si ispira a due biciclette realmente esistite: una proveniente da Basilea, l'altra da Berna. Entrambe rinchiuse in un garage a prendere polvere per anni, sono state portate in Italia dall'allora fidanzato di Georgeanne, oggi suo marito.
Viene così data una nuova vita a queste due biciclette che rappresentano per la coppia, trasferitasi dal Nord Italia alla provincia di Lecce, uno sfogo a basso costo, un modo per fare qualcosa insieme: perdersi tra le stradine di campagna nel crepuscolo per lasciarsi trasportare in silenzio nell'oscurità che sopraggiungeva e riconnettersi alla natura riportando a galla sensazioni legate alla propria infanzia. Le due biciclette erano come due gemelle ritrovate, un po' come Georgeanne e il suo compagno: due persone simili che finalmente avevano incrociato la stessa strada pur venendo da due parti diverse dal mondo (Minneapolis, USA, lei e Lecce, Italia, lui). In seguito le biciclette - sempre parcheggiate in un cortile di casa nascosto - legate l'una all'altra, scompaiono: ancora una volta incatenate insieme in questo loro destino. Qualcuno, inspiegabilmente, le aveva rubate proprio il giorno prima del matrimonio di Georgeanne. Fu un colpo terribile perchè in qualche modo le biciclette rispecchiavano la coppia, ricordando quel salto nel vuoto che i due innamorati avevano affrontato nel lasciare tutto al nord e poi nel decidere di sposarsi: questo evento rappresentava in qualche modo una sorta di perdita dell'innocenza, era come se fosse giunto il momento di “diventare grandi”, compiendo il passo del matrimonio. Ed è così che il brano “Swiss Bikes” porta anche una riflessione sulle relazioni di coppia, su come sia necessario e salutare che vi sia un elemento di “gioco” per alimentare la curiosità per l'altro.


Ci dite qualcosa di più sul disco in uscita ad Aprile? Qual è la cosa a cui tenete di più in questo lavoro?
Giammarco Magno: Il divertimento condiviso durante le prove, i live e i minitour sono sicuramente la cosa a cui tengo di più. Perchè oltre a suonare e a comporre abbiamo scherzato, abbiamo riso, insomma si è creato un bel rapporto umano all'interno del gruppo.
Georgeanne Kalweit: Per me il percorso di fare un disco partendo dalla Puglia è stato un atto d'amore e coraggio nella costruzione dal basso, un lavoro di gruppo a 360 in un posto dove avevo quasi zero contatto reale con la scena musicale, quella di Lecce, che è tra l'altro molto florida al livello di scena indipendente. Io e Giammarco abbiamo avuto la fortuna di conoscerci e abbiamo perseverato, senza fretta, nella collaborazione in questi ultimi anni con vari musicisti finchè non abbiamo trovato l'incastro giusto per il sound, ma anche per un'intesa al livello umano, poi siamo andati a Milano per registrare l'EP con dei professionisti (MaiTai Studio di Gianluca Mancini, con Giovanni Ferrario come direttore artistico e co-produttore, e Roberto Mandia come sound engineer), nonché amici collaboratori miei, dove abbiamo fatto una full immersion in studio, divertendoci tantissimo con questo 'ponte nord-sud'; è stata una gioia poter unire i miei due mondi dopo 20 anni a Milano e dintorni con quello nuovo al sud dove mi ero trasferita. Spero che la gente possa percepire questa sensazione di fermento. Personalmente ci tengo a far arrivare i messaggi dei testi attraverso una musica immediata e completa a livello di composizione, curato nei dettagli, anche per chi non mastica perfettamente l'inglese. L'obiettivo è di diffondere la nostra musica e il messaggio che a mio avviso è molto attuale e universale, partendo dall'Italia, dove viviamo tutti, alle sponde più lontane, e di suonare, suonare, suonare perché il live è linfa e molto importante per noi, per avere uno scambio col pubblico.


Tutto il vostro lavoro è autoprodotto: la cosa da sicuramente molta più libertà e controllo sul proprio lavoro, ma ci sono anche state delle difficoltà che non vi aspettavate?
Giammarco: Personalmente, la difficoltà principale che ho incontrato è stata quella di riuscire a dare il giusto sound ai brani. Posso dire di averle provate tutte, da un approccio un po' più smooth fino a plettro e overdrive. La ragione è che non mi ero mai cimentato in questo tipo di "cantautorato" americano, essendo i miei ascolti abbastanza differenti da quelli di Georgeanne, sicuramente più addentro l'alternative americano di me (avendolo lei stessa vissuto in prima persona!)
Georgeanne: Con l'autoproduzione ci si deve aspettare un po' di tutto! Ma io ho sempre fatto lavori autoprodotti dal periodo con i Kalweit and the Spokes a Milano (2009-2014), con la differenza che con quel progetto c'era già il 'produttore' incorporato nei miei collaboratori musicali dell'epoca. Per The Kalweit Project invece questa figura mancava e così ho approfittato per contattare Giovanni Ferrario come direttore artistico, professionista che stimo tantissimo, per limare ed arricchire i brani. Tutti e 10 i brani fatti insieme a lui (5 che compongono l'EP Swiss Bikes) hanno una propria personalità grazie anche a questa libertà di espressione e sperimentazione, scoperta durante la pre-produzione fatta in Puglia tutta insieme a lui che era venuto giù, e poi a Milano, sempre con lui, per la registrazione definitiva col batterista Mauro Sansone, già nel mio progetto precedente. L'unica grande difficoltà rimane a volte quella economica, ma con la perseveranza e la pazienza si fa tutto, dalla A alla Z, con persone che siano dedicate all'attitudine indipendente, cosa che ci permette di rimanere autonomi nell'autoproduzione, però sempre con l'arte e la qualità al primo posto: dalla scelta di dove registrare, in un luogo in cui tutti si sentono stimolati e a loro agio (anche se lontano da casa sui Navigli di Milano) alla produzione di un video (girato addirittura a casa e nei dintorni, anche nella propria vasca!), persino alla scelta della grafica del EP fisico con la stessa persona che ha curato il video, in questo caso con un'artista/video maker d'arte contemporaneo, Grazia Amelia Bellitta, insieme a due altri video maker Nello Rosato e Ambra Abbaticola. Per fortuna si scopre che siamo tutti nella stessa barca nel non voler scendere a compromessi per quanto riguarda la qualità, e che c'è una solidarietà fra di noi che ci permette di tenere alta questa esigenza, che è molto preziosa e apprezzata.


Porterete in tour questo disco? E se si, dove?
Si, il tour è già iniziato con la prima data fatta l'8 di Marzo al Soul Kitchen di Fermo, poi nell'immediato le prossime date sono state a Roma al Na cosetta il 4 Aprile e il 5 Aprile al Mr rolly's di Vitulazio (Caserta). Il 18 Maggio saremo al Karadrà associazione di promozione sociale a Cutrofiano (Lecce) e stiamo puntando ai festival estivi. Il live comprende sia i 5 brani dell'EP e altri 5 brani che andranno a completare l'album che speriamo di registrare presto, in più 7 brani dei 2 dischi precedenti di Georgeanne dal progetto che aveva a Milano con i Kalweit and the Spokes (Around the Edges & Mulch, Irma Records).


Parliamo del video: Swiss bikes è un video quasi surreale, ma decisamente pieno di significato. Ci spiegate meglio di cosa parla, cosa volete comunicare?
Grazia Amelia Bellitta, Nello Rosato e Ambra Abbaticola hanno voluto cogliere il lato nascosto del brano in un video che manda in “play”, in un processo inarrestabile, l'immaginazione dello spettatore. Si rimodella ad ogni nuova visione e lascia spazio totale all'animo sognante. E' un quesito aperto: alla fine, non si saprà mai se si tratta di un ricordo, di un flash back o di un'illusione. Ricco di simboli e metafore, tocca direttamente l'inconscio, in un mix di suoni ed immagini che vanno oltre l'idea convenzionale di un video musicale.
Il principio è dare importanza a ciò che non si vede ma si “sente”, l'intento, quello di evocare atmosfere oniriche fatte di colori, adesso freddi e adesso caldi. Non è un caso che a girarlo siano 3 artisti impegnati in ricerche dove il visual prende piede. Una sfida quindi, dove video e musica non sono due elementi separati, ma diventano un tutt'uno, si uniscono e raccontano una storia emotiva ed estetica.


So che questo album vuole essere uno specchio dei tempi, un tentativo di parlare di quando la tecnologia e i social media ci stiano disumanizzando: cosa temete di più di tutto questo?
Giammarco: Più che disumanizzando, ci stanno animalizzando: i social sono sicuramente una risorsa sotto tanti aspetti, ma il rovescio della medaglia è che diventano il punching ball delle frustrazioni quotidiane, una terra spesso di nessuno in cui lasciar fluire il lato più animalesco e rabbioso delle persone, nonché quello più manipolativo a beneficio di pochi. Ci vorrebbe un po' più di educazione all'uso, ma capisco che, essendo questo un ambito estremamente dinamico dal punto di vista tecnologico, è difficile stargli dietro.
Georgeanne: Io apprezzo molto la tecnologia, la (relativa) libertà d'informazione e la conoscenza a portata di mano. Essendo una traduttrice professionista da tanti anni, dipendo da internet per il mio lavoro, per poter fare ricerca, e questo mi tiene sempre super curiosa quando devo trovare risposte mentre scaldo la sedia. L'uso de social media è un'altra cosa, un tema trattato nel brano My Beast My Feast che racconta come sta trasformando le persone in protagoniste 'fai da te', delle volte in bestie, delle volte in persone solo molto bisognose di attenzione, persone che mostrano solo un lato di sé, molto selettivo, che puo' ingannare le apparenze, secondo le loro esigenze psicologiche. L'uso dei social media tende a condizionare le persone a vivere in uno stato perenne di 'concorso della popolarità', che trovo un po' liceale. L'uso poi crea dipendenza, l'uso è come una pillola che uno si deve prendere ogni giorno per mantenere questo senso di appartenenza, o importanza, ma spesso crea delle persone molte sole che poi non sanno più relazionarsi nel mondo reale e 'faccia a faccia'. Appunto, come dice Giammarco, ci vorrebbe piu' di educazione all'uso di questo 'attrezzo' che è come un martello: lo si può usare per costruire e diffondere idee, arte, musica e pensieri, ma anche per distruggere tutto questo.
 

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