Nightguide intervista Rodolfo Montuoro

Nightguide intervista Rodolfo Montuoro

A sette anni da “Nacht", il sontuoso progetto rock declinato nei due “movimenti” di “Orfeo” e “Lola”, Rodolfo Montuoro torna con “Voices” - in uscita venerdì 27 Aprile - per descrivere una nuova epopea. Qui non più invocazioni (come in “a_vision”), maschere mitologiche (come in “Hannibal”) o luoghi perenni dell'immaginario (“Nacht").
In “Voices” Il percorso si fa sempre più rarefatto: siamo nel regno impalpabile della phoné. In questo nuovo progetto sonoro Rodolfo Montuoro raccoglie gli sketches musicali e poetici ricavati dal cortocircuito degli incontri - sempre imprevedibili ed enigmatici - tra la voce e l'anima, tra psiche e phoné, con tutto lo scompiglio che ne consegue.
Lo abbiamo intervistato.
 
Rodolfo, che tipo di disco è “Voices”?
Voices è un album che spazia tra l'elettronica e il progressive, coltivato come un giardino giapponese, suonato da musicisti di grande esperienza e di aree disparatissime (elettronica, celtica, rock, sperimentale, classica), con dei picchi di pura emozione espressi dalle voci di Roberto Pedicini e Carmelo Bene. Voices è il mio omaggio alla voce, alla musica e al silenzio.
Come si differenzia dai tuoi dischi precedenti?
Musicalmente c'è molta elettronica rispetto agli altri miei album, grazie alla collaborazione e all'apporto alchemico di Catherine Alice Corelli, la geniale produttrice del disco. Poeticamente, per me è un punto fermo che raccoglie i temi seminati nella mia produzione precedente ma è anche un punto di fuga verso un ideale di composizione sempre più astratto ed essenziale per creare prima o poi, come un Frankenstein psicopatico, il dna di tutte le conversazioni possibili.
Come siamo entrati nel regno impalpabile della phoné?
Nella phoné si precipita, si inciampa e ci si perde senza averne idea. Più o meno come è successo a me.
Hai inserito le voci di Carmelo Bene e Roberto Pedicini, ti va di raccontarcene l'idea?
Ho pensato a loro due, anche se sono molto lontani nel tempo e nello stile, perché entrambi - secondo me - sono capaci di usare la voce come uno strumento cantante, sofisticatissimo e soprattutto tragico. E intendo il  “tragico” come la capacità di rappresentare tutte le danzanti sfumature dell'esistenza (siano esse gioiose o dolorose) con una grazia unica, musicale e apolinnea.
Quali sono i tuoi dischi del cuore?
Pensandoci in questo momento credo senza ombra di dubbio che siano stati il Manfred di Schumann, Ours di Bowie e False Idols di Tricky. Ma se me lo chiedi domani o tra una settimana, il catalogo sarà di certo diverso.
Parlaci dei tuoi prossimi progetti
Il mio primo progetto è ascoltare Voices in santa pace come se lo avesse scritto qualcun altro, dopo tanti anni impiegati a metterlo insieme. E spero che da questo ascolto, finalmente estraniato, vengano fuori nuove idee per i prossimi cinque o sei anni.

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