
Arrestato il superlatitante Bernardo Provenzano
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11/04/2006 | Selfide
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Il boss mafioso Bernardo Provenzano è stato arrestato dalla Polizia di Stato nel Corleonese.
Lo confermano il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone ed i pm della Dda Prestipino e Marzia Sabella. Il boss, latitante dal 1966, è stato arrestato in una masseria alle porte di Corleone, nel ventre della Sicilia. Sarebbero stati identificati anche alcuni complici che si occupavano della latitanza del boss. Proprio seguendo le tracce di questi ultimi la polizia avrebbe scritto la parola fine sulla latitanza del superboss. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha formulato al telefono vivissime congratulazioni al ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu per l'arresto effettuato dalla polizia di Stato del boss mafioso. Il Capo dello Stato ha esteso le congratulazioni al capo della Polizia Gianni De Gennaro.
Provenzano, boss incontrastato della mafia, uomo senza volto, ricercato da mezzo secolo dai reparti speciali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza e arrestato oggi può considerarsi un vero e proprio acrobata della clandestinitá. Dal 17 settembre 1958, giorno in cui fu arrestato per l'ultima volta, non esistevano altre sue foto, ma solo descrizioni fornite dagli uomini d'onore poi diventati collaboratori di giustizia. Proprio nei mesi scorsi era stato presentato il nuovo identikit del boss mafioso, realizzato grazie all'aiuto di nuovi pentiti come Antonino Giuffrè, il suo ex braccio destro, finito in carcere tre anni fa, che ha parlato a lungo di Provenzano ai magistrati. È stato Giuffrè a descriverlo come un uomo «firrignu», cioè forte, «capace di dormire per più notti nel sacco a pelo». Non solo. Era stato proprio il nuovo pentito di mafia a chiarire ai magistrati la strategia numero uno del boss: «Non usa telefoni perchè sa che ogni segnale potrebbe svelare il suo nascondiglio». Provenzano, per dirigere i suoi affari miliardari usava i cosiddetti «pizzini», cioè i bigliettini di carta mandati ai destinatari da uomini fidati. Alcuni, però, forse per paura, decidono di tradirlo. Come aveva fatto, a marzo, Mario Cusimano, finito in carcere nella retata del 25 gennaio scorso, quando vennero arrestati decine di gregari del boss latitante. Fin dal primo momento, Cusimano aveva deciso di saltare il fosso e collaborare con i magistrati che lo hanno ascoltato. Nel gergo mafioso, Cusimano era considerato un «pesce piccolo», ma le sue rivelazioni si stanno dimostrando «molto importanti». Sarebbe stato proprio il neo pentito a raccontare ai pm che si occupano della cattura di Provenzano del viaggio compiuto in auto dal latitante nel 2003 dalla Sicilia fino in Francia, a Marsiglia, per sottoporsi a un delicato intervento chirurgico alla prostata. Un'operazione andata bene e che potrebbe essere persino stata rimborsata in pieno dalll'Ausl 6 di Palermo. Ed è quello che stanno accertando i magistrati che tra maggio e giugno hanno sequestrato montagne di carte per scoprire se effettivamente Provenzano, che si fece ricoverare sotto il falso nome di Gaspare Troia, avesse fatto domanda alla regione per ottenere il rimborso dell'operazione.
L'ultimo contatto tra le forze dell'ordine e Provenzano risale al 9 maggio del 1963, quando il boss venne convocato nella caserma dei carabinieri di Corleone per accertamenti: fu l'ultima volta che i militari videro il volto del boss dei boss. Di lui si perdono definitivamente le tracce il 18 settembre del '63, quando i Carabinieri lo denunciarono per la strage in cui persero la vita Francesco Streva, Biagio Pomilla e Antonio Piraino. Inizia quel giorno la lunga, interminabile latitanza di Bernardo Provenzano, che dura sino ad oggi. A dire il vero, le forze dell'ordine, diverse volte, sono state vicinissime all'arresto della «primula rossa», ma come sempre, è riuscito a farla franca. Come quel 31 gennaio del 2001, quando la Polizia bloccò Benedetto Spera, il suo braccio destro di allora, in una masseria di Mezzojuso, nel palermitano. Provenzano era lì, a pochi passi, in attesa di essere visitato da un medico a causa delle sue cattive condizioni di salute. Ma riuscì a sfuggire, per l'ennesima volta. La carriera criminale di Bernardo Provenzano comincia negli anni Cinquanta, quando insieme con Salvatore Riina, altro boss finito in carcere nel '93, diventa il più fidato luogotenente di Luciano Liggio, allora capo incontrastato di Cosa nostra nel corleonese. Di lui Liggio diceva «spara come un Dio, ma ha il cervello di una gallina», una definizione che Provenzano smentirá con il passare degli anni. Il boss approda ai vertici di Cosa nostra all'inizio degli anni Ottanta, solo dopo avere fatto uccidere tutti i boss rivali. Sono state diverse le strategia usate dal capo di Cosa nostra per gestire gli affari della mafia. L'ultima, quella indicata dal collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, è quella della «moderazione» con l'infiltrazione costante nelle istituzioni, piuttosto che l'attacco frontale, come accadeva in passato.
11 aprile 2006
Il boss mafioso Bernardo Provenzano è stato arrestato dalla Polizia di Stato nel Corleonese.
Lo confermano il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone ed i pm della Dda Prestipino e Marzia Sabella. Il boss, latitante dal 1966, è stato arrestato in una masseria alle porte di Corleone, nel ventre della Sicilia. Sarebbero stati identificati anche alcuni complici che si occupavano della latitanza del boss. Proprio seguendo le tracce di questi ultimi la polizia avrebbe scritto la parola fine sulla latitanza del superboss. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha formulato al telefono vivissime congratulazioni al ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu per l'arresto effettuato dalla polizia di Stato del boss mafioso. Il Capo dello Stato ha esteso le congratulazioni al capo della Polizia Gianni De Gennaro.
Provenzano, boss incontrastato della mafia, uomo senza volto, ricercato da mezzo secolo dai reparti speciali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza e arrestato oggi può considerarsi un vero e proprio acrobata della clandestinitá. Dal 17 settembre 1958, giorno in cui fu arrestato per l'ultima volta, non esistevano altre sue foto, ma solo descrizioni fornite dagli uomini d'onore poi diventati collaboratori di giustizia. Proprio nei mesi scorsi era stato presentato il nuovo identikit del boss mafioso, realizzato grazie all'aiuto di nuovi pentiti come Antonino Giuffrè, il suo ex braccio destro, finito in carcere tre anni fa, che ha parlato a lungo di Provenzano ai magistrati. È stato Giuffrè a descriverlo come un uomo «firrignu», cioè forte, «capace di dormire per più notti nel sacco a pelo». Non solo. Era stato proprio il nuovo pentito di mafia a chiarire ai magistrati la strategia numero uno del boss: «Non usa telefoni perchè sa che ogni segnale potrebbe svelare il suo nascondiglio». Provenzano, per dirigere i suoi affari miliardari usava i cosiddetti «pizzini», cioè i bigliettini di carta mandati ai destinatari da uomini fidati. Alcuni, però, forse per paura, decidono di tradirlo. Come aveva fatto, a marzo, Mario Cusimano, finito in carcere nella retata del 25 gennaio scorso, quando vennero arrestati decine di gregari del boss latitante. Fin dal primo momento, Cusimano aveva deciso di saltare il fosso e collaborare con i magistrati che lo hanno ascoltato. Nel gergo mafioso, Cusimano era considerato un «pesce piccolo», ma le sue rivelazioni si stanno dimostrando «molto importanti». Sarebbe stato proprio il neo pentito a raccontare ai pm che si occupano della cattura di Provenzano del viaggio compiuto in auto dal latitante nel 2003 dalla Sicilia fino in Francia, a Marsiglia, per sottoporsi a un delicato intervento chirurgico alla prostata. Un'operazione andata bene e che potrebbe essere persino stata rimborsata in pieno dalll'Ausl 6 di Palermo. Ed è quello che stanno accertando i magistrati che tra maggio e giugno hanno sequestrato montagne di carte per scoprire se effettivamente Provenzano, che si fece ricoverare sotto il falso nome di Gaspare Troia, avesse fatto domanda alla regione per ottenere il rimborso dell'operazione.
L'ultimo contatto tra le forze dell'ordine e Provenzano risale al 9 maggio del 1963, quando il boss venne convocato nella caserma dei carabinieri di Corleone per accertamenti: fu l'ultima volta che i militari videro il volto del boss dei boss. Di lui si perdono definitivamente le tracce il 18 settembre del '63, quando i Carabinieri lo denunciarono per la strage in cui persero la vita Francesco Streva, Biagio Pomilla e Antonio Piraino. Inizia quel giorno la lunga, interminabile latitanza di Bernardo Provenzano, che dura sino ad oggi. A dire il vero, le forze dell'ordine, diverse volte, sono state vicinissime all'arresto della «primula rossa», ma come sempre, è riuscito a farla franca. Come quel 31 gennaio del 2001, quando la Polizia bloccò Benedetto Spera, il suo braccio destro di allora, in una masseria di Mezzojuso, nel palermitano. Provenzano era lì, a pochi passi, in attesa di essere visitato da un medico a causa delle sue cattive condizioni di salute. Ma riuscì a sfuggire, per l'ennesima volta. La carriera criminale di Bernardo Provenzano comincia negli anni Cinquanta, quando insieme con Salvatore Riina, altro boss finito in carcere nel '93, diventa il più fidato luogotenente di Luciano Liggio, allora capo incontrastato di Cosa nostra nel corleonese. Di lui Liggio diceva «spara come un Dio, ma ha il cervello di una gallina», una definizione che Provenzano smentirá con il passare degli anni. Il boss approda ai vertici di Cosa nostra all'inizio degli anni Ottanta, solo dopo avere fatto uccidere tutti i boss rivali. Sono state diverse le strategia usate dal capo di Cosa nostra per gestire gli affari della mafia. L'ultima, quella indicata dal collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, è quella della «moderazione» con l'infiltrazione costante nelle istituzioni, piuttosto che l'attacco frontale, come accadeva in passato.
11 aprile 2006
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